Nuk dua te te prek
Penso a te un po’ di più,
forse più di prima
ma poco poco
è colpa della casa
è colpa del freddo
se mi sento più attraente
quando mi specchio nel bicchiere
pendente
sarà l’acqua che bolle nel vetro
appannato dal freddo,
sopra le dita morbide,
pende,
come filo tirato dal bottone
violentemente, senza far male all’ombelico
teso come la testa bollente
quanto le tue mani
rigate di linee che si spezzano,
tese sull’orlo della carne.
Ora penso a te un po’ meno di prima,
ma poco poco.
Forse perché 24 ore son passate
e altrettante sospenderanno il pensiero.
Domani scriverò qualcosa di più:
meno di quello detto finora.
Scriverò
di essermi impaludata per 48 ore dentro casa
sdraiata con la pigrizia affianco
che non vuole accendere le candele
perché la luce che trafora la saracinesca
getta abbastanza luce nella stanza;
di sentirmi incastonata nella matrioska
pendente
sull’orlo del tuo braccio,
che deglutire la saliva
è come smaltire un sonnifero che ha nome:
nuk dua te te prek
(trad: "Nuk dua te te prek": "Non voglio toccarti")
Jonida Prifti
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